Articoli: Menestrelli, giullari, musici vaganti: Medioevo in libertà.

di Elisabeth Mantovani

Se torniamo indietro a prima dell’Ottocento è difficile trovare figure di artisti, cantanti o musicisti in condizioni di assoluta libertà, ovvero che non vivessero in condizioni di subordinazione nei confronti di un signore o padrone, di una corte specifica, di un potere politico.
Per trovare una condizione in cui l’artista fosse libero di comporre e non subordinato al potere bisogna paradossalmente risalire al basso Medioevo cioè in quel momento durante il quale molti mestieri, tra cui anche quello di musicista, cantore e persino i giullari e gli intrattenitori, vennero integrati socialmente e non più banditi dalla società come mestieri peccaminosi ed immorali.
Sotto la spinta di una progressiva laicizzazione sociale e grazie anche all’opera dei confessori che miravano ad integrare nella società tutte le nuove classi emergenti tramite penitenze più lievi che non erano più riferite al peccato ma bensì al peccatore, ben presto tutti i mestieri divennero leciti.

Gli artisti oltre ad essere tollerati, a partire dal XI-XII secolo, godevano anche di una certa libertà intellettuale. Il poeta che componeva in versi poteva spesso trovarsi relazionato all’ambiente universitario e nello stesso tempo essere da questo completamente indipendente: si trattava dei cosiddetti clerici vagi, studenti senza fissa dimora discendenti dei goliardi e antenati della bohème studentesca. Essi si spingevano da un’università all’altra mossi dal desiderio di avventura e arricchimento intellettuale fine a sé stesso, seguendo il maestro che li aveva più entusiasmati, accorrendo verso ciò di cui più si parlava[1].
Impetuosi, avventurosi, arditi, erano una classe indisciplinata che animava la vita delle città nel momento della crescita economica e urbana del XII secolo.
L’evolversi dell’atteggiamento verso intrattenitori, musici, acrobati e altri artisti si percepisce soprattutto se andiamo a guardare la condizione dei mestieri che fino almeno al XII secolo erano considerati ‘pericolosi’ perché non si potevano esercitare senza cadere nel peccato capitale della lussuria. I giullari ad esempio si distinguono all’inizio del XIII secolo in tre tipologie: «gli acrobati che si abbandonano a vergognose contorsioni, si spogliano senza pudore o si cammuffano con dei travestimenti orribili; i parassiti delle corti e dell'entourage dei grandi, che diffondono discorsi calunniosi, insinuanti, inconcludenti, tesi unicamente a dividere e a infamare ed infine i musici il cui scopo è allietare il loro auditorio[2].» Se le prime due categorie sono condannate la terza si distingue da coloro che incitano all'abbandono poiché comprende coloro che cantano le canzoni epiche e le vite dei santi, consolando i tristi e gli angosciati. Solo i musici dunque svolgono un'attività consentita. Attraverso questa porta tuttavia a poco a poco tutti i giullari s'insinueranno nel mondo sempre più esteso delle professioni lecite acquisendo una libertà d’espressione sempre maggiore.
Si moltiplicano inoltre gli aneddoti che contribuiscono a giustificare e poi a integrare nel tessuto sociale tutti i mestieri. Per quanto riguarda la categoria degli intrattenitori nota è la storia del giullare che interroga Alessandro III (1159 - 1181) sulla possibilità di salvarsi. Il pontefice gli domanda se conosce altro mestiere e, alla risposta negativa del giullare, lo rassicura che può vivere del suo mestiere purché eviti comportamenti equivoci e osceni.
Diversamente, all’inizio del XII secolo Honorius d’Autun aveva posto la questione in termini del tutto drastici: alla domanda ‘può un menestrello salvarsi?’, l’abate risponde in maniera perentoria: «No. I menestrelli sono ministri di Satana. Ora ridono, ma quando verrà per loro l’ultimo giorno sarà Dio a ridere di loro[3]
Sempre meglio integrati o tollerati dalla società i musici girovaghi rallegravano le feste popolari e, sebbene guardati ancora in molti casi con sospetto, erano richiesti e pagati per animare fiere, tornei e mercati. Venivano attesi dalle genti che popolavano i villaggi e le città che stavano rifiorendo economicamente proprio in questo periodo, costituendo una sorpresa, a volte dal sapore dissoluto e peccaminoso, che interrompeva la routine della comunità, portando piacere per alcuni, disturbo e noie per altri. I menestrelli e i chierici vaganti infatti di solito conducevano una vita abbastanza dissoluta, frequentando taverne, prostitute e praticando il gioco d’azzardo di cui molti di loro erano esperti.
In questo periodo abbiamo una larga diffusione di musica e letteratura profana che veniva composta o eseguita da menestrelli girovaghi o trovatori. In un’Europa ancora poverissima ma avviata a un’esponenziale crescita economica e demografica nel XI e XII secolo, le stradine strette e sinuose che seguivano le rotte dei canali, potenza motrice della nascente industria urbana, le piazze dei mercati e le sempre più frequenti fiere pullulavano di musica cantata e suonata da menestrelli girovaghi, saltimbanchi, danzatori e persino giocolieri.
Queste figure spesso si distinguevano poco tra di loro poiché a tutti questi intrattenitori, che animavano piazze o tornei, erano richiesti diversi compiti. Secondo alcune disposizioni vigenti nella Germania tardo medievale il menestrello doveva «saper inventare, costruire rime, destreggiarsi come schermidore; sapere suonare bene tamburi, cimbali e ghironda (bauernleier); saper lanciare in alto piccole mele e afferrarle con la punta di un coltello; imitare il canto degli uccelli, eseguire trucchi con le carte e saltare attraverso i cerchi; suonare il clavicordo e la chitarra, suonare la crotta a sette corde, accompagnare bene la fibula, parlare e cantare piacevolmente[4].» L’artista girovago godeva insomma di una certa libertà ma doveva saper fare un po’ di tutto per guadagnarsi da vivere: il cantante, il cantastorie, lo strumentista, il giocoliere.
Gli artisti girovaghi percorrevano l’Europa in lungo e in largo seguendo le vie dei pellegrinaggi o le grandi strade mercantili che spesso avevano tratti in comune: qui viaggiavano uomini, soldati e merci e insieme ad essi circolavano idee nuove e s’intrecciavano culture lontane e diverse tra loro contribuendo all’originalità e alla ricchezza di forme espressive del tardo Medioevo.
I trovatori della Provenza o dell’Aquitania gareggiavano in bravura con i trovieri della Bretagna o della Piccardia e, più tardi, con i Minnesanger tedeschi[5].
Tra i chierici vaganti si annoverano anche molti seguaci degli ordini pauperistici e dei movimenti eretici anch’essi tendenti al pauperismo.
Gli Spirituali francescani erano i più attivi in questo genere di attività ma tra i menestrelli religiosi itineranti si annoveravano anche altri francescani scalzi che venivano chiamati joculatores Dei. Essi svilupparono una canzone religiosa di stampo popolare che seguiva lo schema della canzone dei jongleurs. Questi seguivano la tradizione ‘saltatoria’ risalente a sua volte da antiche danze propiziatorie per la fertilità dei campi, esibendosi nelle piazze adiacenti le chiese o sullo stesso sagrato.
La stagione ‘saltatoria’ inoltre diede vita a numerose feste come le ‘feste dei folli’ o le ‘feste dell’asino’ in cui erano palesi le contaminazioni tra sacro e profano: si trattava di ‘carnevali’ in cui ci si mascherava, si scambiavano i ruoli e in cui non erano esclusi travestimenti, nudità e atti osceni sulla falsariga di celebrazioni folkloristiche legate alla fertilità e mai sopite nelle campagne ma che ora transitavano nel tessuto urbano delle fiere e dei mercati popolari.

Con l’affermarsi del potere politico delle città e ancora di più nel passaggio dai Comuni alle Signorie anche i menestrelli cominciarono ad urbanizzarsi. Alcuni di loro continuarono ancora per un secolo a girovagare, godendosi in miseria la propria libertà, ma la maggior parte preferì una vita più sicura e stabile prendendo servizio presso qualche corte o presso le nascenti cappelle musicali.
Con l’avvento delle Signorie e la nascita delle cappelle musicali nelle famiglie aristocratiche e nelle chiese più importanti, la presenza di musici stabili venne considerata una necessità.
In questo momento assistiamo inoltre all’evoluzione nella musica dalla monodia alla polifonia che favorirà la nascita di gruppi e cantori in pianta stabile che andranno a formare l’organico delle cappelle musicali.
Per le sacre funzioni domenicali, per le altre numerose festività religiose o per gli intrattenimenti profani all’interno delle corti, si rese necessario l’impiego di un gruppo, più o meno consistente, di cantori e di strumentisti che andavano a formare la ‘cappella’, termine derivato dalla cappa o mantello di San Martino, la reliquia più venerata in Francia e sulla quale si effettuavano giuramenti e che in battaglia precedeva gli eserciti. Lo stesso nome veniva a designare così sia la sacra reliquia sia il personale richiesto per un culto o per l’intrattenimento di un nobile.
Nonostante la figura dell’artista e del musico andasse acquisendo maggior stabilità sociale, la paga era ancora molto bassa e i compiti non ben definiti. La durata dell’incarico inoltre poteva dipendere dalla stima, dalla simpatia o dal patrimonio del mecenate rendendo il musico e l’artista alla mercé delle tematiche più gradite o favorevoli al suo padrone.
Bisognerà aspettare l’Ottocento e l’avvento dell’individualismo Romantico perché di nuovo il musicista o l’artista ritrovino lo slancio per vivere ed esprimersi liberamente spesso però a costo di una vita di disagi e di stenti economici.
Nella società ancora spiritualizzata del tardo medioevo, nel paesaggio ancora incontaminato dei secoli che precedettero l’età moderna, la povertà non doveva essere una condizione così opprimente come nella civiltà industriale dell’Ottocento: il menestrello poteva scegliere di vivere con pochi mezzi godendo della semplicità del suo modus vivendi e della condizione di artista libero ispirato da Dio o dall’amor cortese.


[1] Jacques Le Goff, Genio del Medioevo, Mondadori, Milano, 1959, p. 62
[2] Jacques Le Goff, Tempo della chiesa tempo del mercante, Biblioteca Einaudi, Torino, 2000, p. 63
[3] Le Stanze della Musica. Artisti e musicisti a Bologna dal ‘500 al ‘900, SilvanaEditoriale, Milano, 2002, p. 17
[4] H. Raynor crf in Le Stanze della Musica. Artisti e musicisti a Bologna dal ‘500 al ‘900, SilvanaEditoriale, Milano, 2002, p. 17
[5] Le Stanze della Musica. Artisti e musicisti a Bologna dal ‘500 al ‘900, SilvanaEditoriale, Milano, 2002, p. 17